Catalogo mostra Ningyo - atto I. Torino, Palazzo Barolo, 13 novembre - 19 dicembre 2010.
Se con bambola volessimo comunicare il termine che si riferisce al gioco dei bambini, dovremmo egualmente ripercorrere la storia dell’uomo, della sua evoluzione, della sua cultura, della sua consapevolezza. Certo è che la storia della bambola e quella dell’idolo condividono la medesima origine e lo stesso valore simbolico.
Come l’uomo, dalla sua trasformazione ai primordi in essere cosciente, il bambino piccolo vive la sua prima esperienza di solitudine e la bambola come l’idolo rappresenta il simulacro di diverse immagini: di sé, dell’altro, del mondo esterno e di quello interno, dell’amore e della paura. Gli uomini hanno inventato, passo dopo passo, ciò che oggi chiamiamo civiltà adunandosi in comunità regolate da precetti e divieti per sentirsi almeno all’interno della comunità, protetti dall’angoscia dell’imprevedibile. Le religioni hanno raccolto speranze, le tradizioni hanno fatto popolo. I modi sono stati diversi ma l’obiettivo ha uniformato tutti gli esseri umani.
Questa premessa si rende necessaria per meglio comprendere il fenomeno, unico al mondo, delle bambole giapponesi.
Per meglio definirlo è necessario aggiungere un elemento, quello legato alla religione autoctona giapponese, lo Shintoismo. Antropologicamente e culturalmente il popolo giapponese si evolve e si definisce in una situazione ambientale in cui la geologia del territorio sembrerebbe sgomentare qualsiasi tipo di attecchimento. Sappiamo bene infatti che il Giappone, il cui arcipelago è formato interamente da isole vulcaniche, è un paese colpito quasi quotidianamente da terremoti.
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